Mt
26,06 [anakeimenou]
Mt 26,6: anakeimènu – Mc 14,3: katakeimènu
CEI traduce "mentre era a tavola“ in entrambi i casi. Non credo,
anzitutto, che in sede di traduzione sia possibile operare una distinzione fra i
due verbi greci. I dizionari danno
per anakeimai e per katakeimai più o meno gli
stessi significati: “giacere”, “essere disteso”, “stare
disteso” e “essere a tavola”, “stare sdraiato a mensa”,
“partecipare a un banchetto” ; Buzzetti dà, fra gli altri
significati: “essere seduto a tavola” ed “essere ospite a un
pranzo”. CEI traduce: “mentre egli stava a tavola” (Mt)
e “mentre era a tavola” (Mc).
Per venire al sardo, il vocabolo più comune che traduce “disteso” è
“istèrridu” (log.) / “sterriu” (camp.). Si
è discusso se fosse il caso di ricalcare nella traduzione l’espressione greca
contenente l’accenno alla posizione assunta a tavola. Mi è parso di capire
che si sia concluso per il no. D’altro canto, l’espressione “essere
seduto a tavola” opera palesemente una transculturazione. [cfr nota AP]
Quanto al sardo, non mi è stato agevole reperire un’espressione
corrispondente all’italiano “a tavola” (con assenza quindi
di ogni riferimento alla posizione assunta) che potesse essere pacificamente
accettata da tutti. Premesso che “la tavola” è comunemente “sa
mesa” ma anche “sa
banca”, la verifica sui dizionari mi ha dato i seguenti risultati: Espa:
“setzire a mesa”, ma “aparitza sa banca”; Pittau:
“Amigu a banca, frade a bisonzu”; Puddu: “setzer
in mesa”, ma “ in banca no bos manchet pane e binu” e “su ditzu narat: amigu a tàula
e frade a bisonzu”; Spano: “andhare a tàula” (=
“porsi a tavola”): Casciu (camp.): “chini cantat in
mesa o in lettu, o est maccu o est fertu”. Dunque: “a tavola” =
“a mesa”, “in mesa”, “a banca”,
“in banca”, “a tàula”. Fa parte della mia
esperienza personale “in banca” e forse anche “in tàula”.
Le espressioni con “tàula” sono palesemente mutuate
dall’italiano (anche se “taula” è parola catalana: “posar-se
a taula” = “sedersi a tavola”). In sardo “tàula” ha
infatti solitamente il significato di “asse”, “legno piallato”
(“unu covecu ‘e tàula” = “un coperchio di legno”;
“su tauladu” era l’assito delle vecchie case). Inoltre, le
forme con “in” servono anche per indicare quel che si mette “sulla”
tavola: le pietanze, le bevande, il vaso di fiori, etc. Io aggirerei la
difficoltà usando semplicemente “mandhighendhe” (non credo
che in questo caso possa nascere qualche incertezza sulla localizzazione dei
protagonisti: se davanti a una tavola imbandita oppure seduti su un gradino
della scala a mangiarsi un panino). Userei inoltre la stessa espressione per
entrambi gli evangelisti, anche se in posizione diversa, come del resto in greco
(dove però – se non vado errato – il participio viene usato in due
costruzioni diverse: genitivo retto da tès kefalès in Mt,
genit. assoluto in Mc).
In conclusione: per Mt: “si li acurtzièit una fèmina… e
l’isparghèit… in su mentras ch’isse fit mandhighendhe”; per Mc:
e sendhe isse in Betània… in su mentras ch’isse fit mandhighendhe
‘enzèit una fèmina…”.
nPGh : ricordo mio padre che usava questa frase: "immoi benis, a
taula scutta": = "adesso vieni, quando tutto è già stato
ritirato".
nota
AP circa "sterrius" : manco a farlo apposta, sul numero pasquale
del Jerusalem Report (quindicinale di attualità e cultura ebraica)
l'articolo di commento biblico è proprio sul significato della posizione
"distesa" in uso presso gli ebrei specificamente per la cena
pasquale: in breve, in quel giorno anche lo schiavo
assumeva le modalità di comportamento degli uomini liberi e appartenenti alle
classi sociali più rispettate. Non sembra però che tale tradizione abbia
goduto sempre di una diffusione generale e di un consenso unanime né circa l'uso né circa il
significato. In particolare, tale posizione "distesa" era concessa da
certi "maestri" ai propri alunni nei pasti comuni, mentre da altri no.
Tale concessione significava un particolare riconoscimento verso i discepoli .
Per quanto riguarda la traduzione: Perdere del tutto il significato del verbo
greco, mi sembra vada a toccare un aspetto significativo (a quanto pare)
dell'usanza pasquale ebraica, usanza che servirà nel vangelo di Giovanni anche per
spiegare il come il discepolo preferito potesse poggiare il capo sul petto di
Gesù. Allora: se disturba tradurre "sterridu a mandighare", non si
potrebbe pensare a una traduzione in cui il concetto di "sterridu"
venga attribuito alla tavola, dal momento che in sardo si usa questo verbo per
dire qualcosa come "sterri sa mesa"? (ap 20-04-01)
Inoltre: mantenere il verbo greco "sterridu a..." aiuterebbe a rendere
più comprensibile sia l'unzione dei piedi, nel vangelo di Gv, (difficile farlo
se si è seduti come da noi: bisognerebbe andare sotto il tavolo...), sia
l'unzione della testa in Mc e Lc (sempre più facile farlo se uno è
"sterriu"...) (ap 5/9/01).