©Vita Nostra 2000, anno 40, n. 39, domenica 5 novembre 2000, p. 5
- Traduzione in sardo di Mc 12,38-44
- Commento di traduzione sul problema dei termini tecnici
Traduzione di Antioco e Paolo Ghiani
38 E donendi s’imparu suu, naràt: «Castiaisì de icussus òminis de lei chi si bolint fai biri in giru candu funt bestius po pregai e bolint èssiri saludaus po primu candu funt in is pratzas, chi bolint is cadiras de ananti candu funt in is sinagogas e is primus postus candu funt in is cumbidus: cussus, chi nc’ingurtint is domus de is fiudas e donant a biri ca pregant meda, pròpriu issus ant a arriciri una cundenna prus manna».
41 E sètziu ananti de s’aposentu de is orarias, castiàt comenti sa genti
nci getàt dinai in su strexiu de is offertas, e medas arricus ndi ddui getànt
meda. 42 E lòmpia una fiuda, pòbora, nc’iat getau duus soddus, iat èssiri
unu francu.
43 Fattus acostai is iscientis suus ddis iat nau: « Deaderus, si ddu nau deu:
sa fiuda, custa pobora, nci at getau in s’offerta prus de totus is chi funt
getendi postus impari. 44 Ca totus ant getau de s’abbundàntzia insoru, issa,
po contras, de sa poboresa sua, nci at getau totu su chi teniat, totu sa fida
sua».
In queste note di traduzione abbiamo già diverse volte accennato ai termini tecnici. Nella pagina di oggi ce ne sono diversi. Uno ricorre ben tre volte: si tratta del gazophylakion , il "tesoro" del tempio, termine che deriva dalla parola persiana ganj che significa "tesoro" e dal termine greco phylax che significa "custode". Con questa etimologia è collegato il termine "genizà", reso famoso dalla "geniza del Cairo", dove furono ritrovati importanti manoscritti archiviati dopo il loro uso in sinagoga.
Quando Giuseppe Flavio descrive l’incendio di Gerusalemme da parte dei
soldati romani, dice che essi bruciarono anche "le stanze del tesoro, in
cui c’era un’immensa quantità di denaro, e un numero immenso di indumenti,
e altri beni preziosi, lì conservati; per dire tutto in poche parole, vi erano
ammucchiate tutte le ricchezze dei giudei, poiché la gente ricca vi aveva
trasferito le loro case" (Le guerre giudaiche 6.5.2).
Altri testi giudaici dicono che nella sala del tesoro c’erano tredici
recipienti in forma di tromba per la raccolta delle offerte.
Il fatto che il termine greco tradotto con "tesoro" ricorra ora al
singolare ora al plurale dipende dunque anche dal fatto che a seconda dei casi
può riferirsi sia all’insieme delle stanze destinate alla conservazione dei
soldi e dei beni sia ai numerosi recipienti destinati alla raccolta.
Nel nostro testo, il termine ricorre sempre al singolare, ma non
necessariamente ha sempre lo stesso significato.
Nel primo caso, si può pensare che Gesù si sieda davanti alla "sala del
tesoro" dove i fedeli contattavano i sacerdoti incaricati delle offerte e
ricevevano da loro il parere circa l’adeguatezza del tipo di moneta usata e
anche della quantità dell’offerta in proporzione dello scopo cui era
destinata. In questo caso si comprende che si possa tradurre s’aposentu de
is orarias.
Nel secondo caso, se non si vuol dare l’impressione che la gente lanci le
monete nella sala, si deve supporre che il termine indichi i recipienti per la
raccolta. Da qui la traduzione is strexius de is offertas.
Nel terzo caso, sembra di poter dire che il senso non è più strettamente
collegato né alla sala né ai recipienti in quanto tali, ma si sta dando un
giudizio di valore del gesto, al di là delle apparenze. Perciò la traduzione
più generica che indichi più specificamente il senso religioso del gesto: Deaderus,
si ddu nau deu: sa fiuda, custa pobora, nci at getau in s’offerta prus de
totus is chi funt getendi postus impari.