Vita Nostra 2000, anno 40, n. 32, Domenica 17 settembre 2000
- Traduzione in sardo di Mc 8,27-35
- Commento di traduzione sul problema delle connotazioni
27 E fut partiu, Gesùs e is iscientis suus faci a is biddas de Cesarea de Filipu, e bia bia pregontàt a is iscientis suus, narendiddis: «Sa genti e chini narat ca seu deu?». 28Issus dd’iant arrespustu, narendiddi: «Giuanni Batista, e a chini Allias, a chini unu de is profetas». 29Issu tandus ddis pregontàt: «E bosatrus, e chini narais ca seu deu?». Iat arrespustu Perdu, e ddi narat: «Tui ses su Cristus!». 30E ddus iat ameletzaus po non nai nudda a nemus de issu.
31E iat cumentzau a ddis donai imparu : «Su Fillu de s’òmini depit sunfriri meda e depit èssiri arrefudau de is predis maioris e de is òminis de lei e bocìu e apustis de tres dis at a èssiri arresuscitau». 32E naràt custu fueddu cun prontu. Tandus Perdu dd’iat pigau a sa sola e iat cumentzau a dd’ameletzai. 33Issu, si fut furriau e castiendi a is iscientis suus, iat ameletzau a Perdu e narat: «Torra infatu miu, aremigu! Ca tui no atìnas a is cosas de Deus, ma a icussas de is òminis!».
34E, apustis chi iat tzerriau sa genti cun is iscientis suus, ddis iat nau: «Chi calincunu bolit sodigai infatu miu, non si pongiat prus penzamentu de issu e totu, atuissì sa gruxi sua e sòdighit cun mimi». 35Ca a chini at a bolli sarvai sa vida sua, dd’at a pèrdiri; a chini invecis at a pèrdiri sa vida sua po mimi e po s’evangèliu, si dd’at a sarvai.
[36E ita prou ndi tenit unu, chi essat guadangiau su mundu intreu e pèrdiu sa vida sua? 37E ita at a pòdiri donai unu a càmbiu a pari po sa vida sua? 38A chini ndi dd’at èssiri partu bregungia de mimi e de is fueddus mius in faci de icusta arratza de genti traitora e pecadora, fintzas e a su Fillu de s’òmini ndi dd’at a parri bregungia de issu, candu at a lòmpiri in sa gròria de su Babbu suu cun is àngelus santus.]
Traduzione. Come nelle "puntate" precedenti, non intendiamo discutere ogni problema di traduzione presente nella pagina evangelica di questa domenica. Nel mentre che i lettori potranno intervenire su ciò che ritengono opportuno, noi ci limitiamo a evidenziare ogni volta un problema particolare di traduzione. Questa volta ci sembra opportuno attirare l'attenzione sul problema delle "connotazioni", non dal punto di vista teorico ma pratico, così come appare nel v. 34: Cei 1971 traduce: "Se qualcuno vuole venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua". Cei 1997 ha apportato varianti minime, ma non insignificanti, sostituendo "vuol venire dietro a me" al posto di "vuole venire dietro di me". La traduzione "dinamica" della Ldc-Abu 1985 ha: "Se qualcuno vuol venire con me, smetta di pensare a se stesso, prenda la sua croce e mi segua". Il problema sottostante a queste varianti è proprio quello delle connotazioni.
Ci spieghiamo con un esempio. Quando il vangelo di Giovanni dice che due discepoli del Battista, avendo sentito l'indicazione del loro maestro, "seguirono" Gesù per scoprire dove abitava (Gv 1,34-35), usa il significato primario o stabile del verbo "seguire", nel senso materiale e fisico di "andare dietro". Quando invece subito dopo si dice che uno dei discepoli che si erano staccati dal Battista per "seguire" Gesù era Pietro (Gv 1,40), oppure quando Gesù (nel testo adottato comunemente) si rivolge a Filippo e gli dice "Seguimi" (Gv 1,43), il verbo "seguire" indica la sequela tipica del discepolo che accetta e mette in pratica gli insegnamenti di colui che riconosce come suo "maestro". A distanza di pochi versetti, abbiamo così due usi diversi del medesimo verbo "seguire". Il primo uso è semplicemente "denotativo", mentre il secondo è "connotativo", esprime cioè un significato che dipende dal contesto e dalla situazione particolare dei soggetti di cui si parla.
Tornando al nostro testo, i traduttori della Ldc-Abu 1985, lavorando all'interno di una traduzione "dinamica", avevano pensato che mettere "con" invece di "dietro" esprimeva meglio in italiano la connotazione di discepolato, e così avevano tradotto "se qualcuno vuol venire con me". I revisori della traduzione Cei 1997, lavorando all'interno di una traduzione "formale", non se la sono sentita di sostituire la preposizione "dietro" usata dal testo greco, ma hanno pensato invece di raggiungere lo stesso scopo cambiandone l'abbinamento con la preposizione "a", e così hanno operato quella minima variante da "venire dietro di me" a "venire dietro a me". La medesima scelta è stata adottata anche dalla recente revisione della Ldc-Abu 2000, che ha dunque abbandonato la precedente traduzione "venire con".
Tutto questo per contestualizzare il problema del come tradurre in sardo il verbo chiave della "sequela". Vargiu 1990 traduce "Si calincunu bolit beni cun mei, lassit de penzai a issu e totu, s'atuit sa gruxi sua e mi sigat": è chiaro che sta "traducendo la traduzione" dinamica della Ldc-Abu 1985, in cui però inserisce, come fa sovente, un uso tipico sardo nella espressione "s'atuit sa gruxi sua". Cuccu 1996 ha: "Si calincùni bòlit bènni avàtu de Mèi, rennèghidi a sèi e tòttu, pìghidi asùba de sèi sa gruxi sùa e sìgada a Mèi". Ma dal momento che P. Cuccu dichiara di voler fare una traduzione letterale, non si capisce perché usi due espressioni diverse per il medesimo verbo greco, prima dicendo "benni avatu de mei" e poi "sigada a mei", tanto più, appunto, che si tratta di una parola "chiave".
La discussione sottostante alla traduzione dei Ghiani riguarda ancora una volta il problema delle "connotazioni". La scelta era tra "sighiri, sodigai, ponni infatu". L'espressione sarda (nel campidanese del Sarcidano) per dire "andare dietro" è "ponni infatu a", ancora più tipica che "benni avatu de". Tuttavia, è sembrato opportuno tener conto che "ponni infatu" in certi altri usi campidanesi, ha anche la "connotazione" di una qualche aggressività (inseguire con intenzioni in qualche modo malevole, seguire di nascosto). Tenuto conto, inoltre, che "sodigai" oltre al senso "locativo" (cfr. DizLcs: "lomper a ue o a su tretu, a su puntu chi un'ateru est lòmpidu") include anche il senso di "continuità, costanza" (cfr. ancora DizLcs: "fagher ancora sa matessi cosa"), la scelta finale è stata quella di dire "sodigai infatu miu" e "sodigai cun mimi: "Chi calincunu bolit sodigai infatu miu, non si pongiat prus penzamentu de issu e totu, atuissì sa gruxi sua e sòdighit cun mimi»".
Spetta ora ai lettori verificare se così traducendo si sia rispettata la "naturalezza" della lingua sarda e si sia riusciti a richiamare meglio l'idea centrale del vangelo di Marco, che è quella di proporre al discepolo la medesima strada e il medesimo traguardo del "maestro".