Arresonamentos
Problematiche sarde
di Boreddu Morette
©Vita Nostra 2000, anno 40, n. 44, Domenica 10 dicembre 2000, p. 8
L'aula consiliare del comune di Oristano ha contenuto riunioni importanti nei suoi più che duecento anni di vita. Intendo, riunioni civili: perché, nata quale cappella delle Scuole Pie, ha vissuto le preghiere, le confessioni e le messe (e forse le distrazioni) di numerose generazioni di giovani. Parlo, invece, proprio di riunioni civili, perché la sala fu secolarizzata con l'unità d'Italia nel secolo scorso e della precedente funzione ha conservato la struttura e le quattro nicchie riempite dai giganteschi e sproporzionati (ovviamente non per loro colpa) quattro evangelisti. E così, diventato pubblico edificio, la sala dell'ordine religioso che, obbedendo ai sovrani piemontesi, per primo insegnò la lingua italiana nelle scuole dell'Isola, viene ora ricordata da una lapide per aver ospitato la fondazione del partito sardo qualche anno dopo la prima guerra mondiale.
In questo luogo, qualche settimana fa, esattamente sabato undici novembre, Gigi Sanna e don Antonio Pinna hanno presentato ad un pubblico di affezionati il "ditzionariu de sa limba e de sa cultura sarda". Il lettore penserà: "ma cosa c'entra un vocabolario con la sala e con la storia?". C'entra; e non solo perché il vicesindaco Mauro Solinas, organizzatore dell'incontro, è sardista e quindi si occupa della cultura sarda. E lo stesso potrebbe dirsi del professore oristanese e di altri presenti. La vera novità è che un professore di Sacra Scrittura, che la parola di Dio la insegna ai giovani preti, parli del vocabolario sardo, ne dichiari l'utilità, ne dimostri l'utilizzo per una sua corretta traduzione nell'idioma della nostra terra.
Professori, intellettuali, uomini della scienza e della politica riprendono a parlare in sardo, nella versione del proprio paese ma intendendosi tra di loro. C'è un accordo diffuso che la ripresa della propria lingua aiuti la ripresa del proprio percorso storico quale passaggio imprescindibile per ricongiungere il filo della propria vicenda umana con quella degli altri popoli.
Si dà un'economia della lingua dal cui investimento si ricavano prodotti dal valore aggiunto non solamente culturali o che si possono dire culturali in senso molto vasto. Degli studiosi di sociolinguistica affermano che la ripresa e l'unificazione della propria lingua agevola al massimo grado la capacità di un popolo di ricostruire una propria economia e proprie istituzioni. L'esempio più citato è quello israeliano: cinquant'anni orsono si è scelto di riprendere l'ebraico quale lingua del nuovo .Israele, una lingua che già era solamente letteraria ai tempi di Gesù (che, difatti, parlava l'aramaico e leggeva l'ebraico nella sua bibbia, come un tempo noi la leggevamo in latino). Non c'è popolo senza la sua lingua. Non c'è economia senza il protagonismo di un popolo. E la prima libertà è quella di progredire mantenendo di se stessi il proprio "io" profondo, che si esprime solo in terminologie e concetti tutti propri. La lingua rappresenta il culmine e il cuore di qualsiasi cultura. Per questo è importante l'uscita del "ditzionariu" di Mario Puddu, un testo che racchiude in mille e ottocento pagine circa centomila vocaboli derivati dalla parlata ma anche da oltre quattrocento opere scritte in limba. Quale lingua sarda? Tutte ed una. Non ultimo merito di questo dizionario è, infatti, quello di praticare l'obiettivo: la struttura di fondo della lingua dei Sardi è unitaria tanto da permettere a tutti la comprensione delle altre varianti.
Il nove dicembre, ad Arborea, tutti i protagonisti del rilancio della lingua e della cultura sarda si daranno appuntamento nella seconda conferenza per riflettere insieme sulle esperienze compiute ed in corso nelle scuole dell'Isola, nelle pubbliche amministrazioni, nei giornali e nelle televisioni. Sarà una grande occasione di identità e di positivo confronto. Ciò di cui si ha maggiormente bisogno in questa nostra terra.
Boreddu Morette